Il riconoscimento delle qualifiche professionali in Italia

In Italia, in linea con la Direttiva 2005/36/CE dell’Unione Europea, il riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite all’estero è affidato esclusivamente ai ministeri, in funzione della specifica disciplina professionale. Questo approccio centralizzato assicura che il processo di valutazione sia uniforme, trasparente e conforme ai più alti standard qualitativi, garantendo al contempo la protezione del pubblico e il mantenimento della qualità professionale all’interno del mercato del lavoro italiano. A seconda della professione per cui si richiede il riconoscimento, il ministero competente varia: il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per le professioni accademiche; il Ministero della Salute per quelle sanitarie; il Ministero della Giustizia per le professioni legali; e il Ministero dello Sviluppo Economico per le professioni tecniche e commerciali. Questi organi governativi operano seguendo criteri e procedure dettagliate per valutare le qualifiche estere, assicurando che i professionisti che desiderano esercitare in Italia soddisfino gli standard e i requisiti specifici previsti dalla legislazione italiana e dalle normative professionali.

Il procedimento amministrativo finalizzato al riconoscimento delle qualifiche e titoli professionali ottenuti all’estero è un aspetto chiave per chi desidera esercitare la propria professione in Italia. È fondamentale comprendere la distinzione tra professioni regolamentate e non regolamentate, come delineato dalla normativa italiana in conformità con la direttiva 2005/36/CE e la direttiva 2013/55/UE che disciplinano la materia del riconoscimento delle professioni.

Le professioni regolamentate sono quelle per cui l’accesso e l’esercizio sono vincolati al possesso di specifiche qualifiche professionali, come definito dalla relativa normativa di settore. Questo significa che per esercitare tali professioni in Italia, è indispensabile il riconoscimento legale del proprio titolo di studio e delle qualifiche professionali ottenute all’estero.

Al contrario, per le professioni non regolamentate, l’accesso e l’esercizio non richiedono il superamento di un esame di stato, né l’iscrizione a un ordine o albo professionale. In questi casi, non esistono requisiti normativi specifici per l’utilizzo di titoli di studio o qualifiche straniere, lasciando al datore di lavoro la discrezione di valutare l’adeguatezza della qualifica professionale ottenuta all’estero.

Questa differenziazione è cruciale e funge da guida per orientarsi nel processo di riconoscimento delle qualifiche professionali in Italia, sottolineando l’importanza di un approccio informato e consapevole a seconda della categoria professionale di interesse.

L’Italia ha adottato come primo Stato membro dell’Unione Europea tale direttiva 2005/36/CE nel proprio ordinamento, attraverso il decreto legislativo n. 206 del 9 novembre 2007, che ha sostituito in larga parte le precedenti normative nazionali relative ai riconoscimenti professionali. Il successivo passo nell’evoluzione normativa con l’adozione della direttiva 2013/55/UE, recepita in Italia il 18 gennaio 2016 mediante il decreto legislativo n. 15 del 28 gennaio 2016 ha apportato significative modifiche alla direttiva originaria del 2005, introducendo nuove disposizioni per facilitare ulteriormente la libera circolazione dei professionisti all’interno dell’Unione Europea.

In base all’articolo 2 del decreto, il campo di applicazione riguarda i cittadini degli Stati membri dell’UE che desiderano esercitare in Italia una professione regolamentata, avvalendosi di qualifiche professionali ottenute in uno degli Stati membri. Questi individui possono operare come lavoratori dipendenti o autonomi, inclusi i liberi professionisti, purché le loro qualifiche li abilitino all’esercizio della professione nello Stato membro di origine. È importante notare che questa normativa non si estende ai cittadini dell’UE in possesso di qualifiche professionali acquisite al di fuori dell’Unione Europea.

Questo quadro normativo è cruciale per agevolare la mobilità dei lavoratori all’interno dell’UE, permettendo ai professionisti di esercitare la propria professione in uno stato membro diverso da quello in cui hanno ottenuto le loro qualifiche.

Diritto di stabilimento e libera prestazione di servizi

Il diritto di stabilimento offre ai professionisti l’opportunità di esercitare la loro attività in modo permanente in un altro stato membro, previo riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite nel paese di origine. Questo processo richiede l’interazione con l’autorità competente italiana per garantire che le qualifiche siano conformi agli standard richiesti per la professione regolamentata desiderata.

Parallelamente, la libera prestazione di servizi consente ai professionisti di offrire le loro competenze in Italia su base temporanea e occasionale, senza il bisogno di un riconoscimento formale delle qualifiche, a patto che forniscano una dichiarazione preventiva. Questo regime è particolarmente vantaggioso per coloro che desiderano lavorare attraverso frontiere senza stabilirsi permanentemente, mantenendo la loro base operativa nel paese di origine.

Dichiarazione preventiva e controllo delle qualifiche

La dichiarazione preventiva serve come notifica alle autorità italiane dell’intenzione del professionista di esercitare temporaneamente la propria professione in Italia. Questa dichiarazione, che deve essere rinnovata annualmente o ogni 18 mesi a seconda della professione, include informazioni sulla copertura assicurativa per la responsabilità professionale e sul carattere temporaneo e occasionale dell’attività.

Per le professioni che comportano rischi per la salute o la sicurezza pubblica, le autorità italiane possono eseguire un controllo preventivo delle qualifiche prima di consentire l’esercizio dell’attività professionale. Questo assicura che tutti i professionisti operino secondo gli standard di sicurezza e competenza richiesti.

Promozione della mobilità professionale

La direttiva 2005/36/CE e il suo recepimento nazionale promuovono attivamente la mobilità professionale attraverso l’Europa, incentivando le associazioni professionali e gli stati membri a sviluppare piattaforme comuni per il riconoscimento delle qualifiche. Queste piattaforme mirano a ridurre le differenze sostanziali nei requisiti di formazione e qualifica tra gli stati, facilitando così un più ampio riconoscimento reciproco delle competenze professionali.

Il cittadino europeo che intenda svolgere stabilmente la propria attività in Italia dovrà pertanto presentare la domanda per il riconoscimento della propria qualifica professionale all’autorità italiana competente per materia, unita a una lista di documenti di cui si riporta in nota la specifica.

L’Autorità italiana preposta all’accoglimento della domanda dovrà entro il termine di 30 giorni dalla ricezione, comunicare all’istante di aver ricevuto la domanda di riconoscimento e gli eventuali documenti mancanti per completare la fase istruttoria. Entro il termine di 120 giorni dalla ricezione della richiesta l’amministrazione preposta dovrà concludere la fase istruttoria del procedimento per il riconoscimento della qualifica professionale, emettendo una decisione debitamente motivata. In relazione all’istanza di riconoscimento l’amministrazione incaricata potrà esperire le seguenti decisioni:

  • accoglimento della domanda;
  • accoglimento della domanda previo superamento di misure compensative a carico del prestatore, in caso abbia individuato differenze sostanziali tra la formazione del richiedente e la formazione analoga prevista dall’ordinamento italiano, nonché tra le attività professionali esercitate nel Paese di provenienza e quelle previste per l’esercizio della stessa professione in Italia, che non possono essere compensate attraverso un’esperienza professionale e/o da una formazione supplementare;
  • rigetto della domanda nel caso in cui l’amministrazione incaricata rinvenga la mancata corrispondenza tra la professione esercitata nel Paese di origine e quella regolamentata in Italia oppure in mancanza dei requisiti previsti dalla direttiva in materia di riconoscimento analizzata nelle pagine che precedono.

Nel caso il procedimento amministrativo in questione, volto all’ottenimento di un giudizio di equipollenza tra le qualifiche professionali, abbia un esito negativo, l’amministrazione competente provvederà ad affidare al professionista misure compensative, quali ad esempio un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale necessarie per colmare le lacune formative e professionali.

Qualora invece il giudizio di equipollenza dia esito positivo, il procedimento si conclude con l’adozione del provvedimento amministrativo di riconoscimento della qualifica adottato dal Ministero competente per l’area professionale in questione, con il conseguente rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività professionale, che potrà essere svolta alle identiche condizioni previste dalla legislazione dello Stato ospite per i propri cittadini. Il provvedimento in questione costituirà titolo legalmente valido per l’iscrizione in albi, registri o elenchi ai fini dell’esercizio delle professioni regolamentate, oltre ad offrire al suo titolare il beneficio dell’esercizio della professione con la denominazione del titolo professionale previsto dalla legislazione dello Stato di stabilimento.

Nell’ambito dei possibili esiti dell’istanza di riconoscimento per l’esercizio in forma permanente della professione, va annoverato anche il caso di concessione dell’accesso parziale.

L’accesso parziale alla professione consente al prestatore di esercitare la propria attività nel territorio dello Stato italiano esclusivamente nel settore corrispondente a quello per il quale è qualificato nello Stato membro di provenienza o di origine, sebbene tale attività si inserisca nell’ambito di una professione a più ampio spettro di azione in Italia.

Tuttavia, giova precisare che la modalità di riconoscimento professionale di accesso parziale non si applica ai professionisti che beneficiano del riconoscimento automatico.

L’amministrazione italiana competente potrà concedere l’accesso parziale, previa valutazione del caso particolare della parte istante, qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni:

  • le differenze tra l’attività professionale esercitata legalmente nello Stato di origine o di provenienza dell’Unione e la professione regolamentata in Italia devono essere tali che l’applicazione di misure compensative non consenta al richiedente di completare il programma di formazione richiesto dalla normativa italiana per avere accesso totale all’esercizio della professione regolamentata;
  • l’attività professionale può essere oggettivamente separata dalle altre attività relative alla professione regolamentata in Italia;
  • il professionista è pienamente qualificato ad esercitare nello Stato di origine o provenienza l’attività professionale per la quale chiede l’accesso parziale.

Nel caso in cui l’amministrazione preposta conceda l’accesso parziale, il professionista sarà autorizzato ad esercitare l’attività con il titolo professionale dello Stato dell’Unione di provenienza.

Analogamente a quanto previsto per i cittadini degli Stati dell’Unione, la qualifica professionale ottenuta da un cittadino proveniente da un Paese terzo, il quale temporaneamente o permanentemente intenda esercitare la propria professione in Italia, è soggetta ad una verifica operata di volta in volta dalle amministrazioni dello Stato, allo scopo di stabilire l’equipollenza tra i titoli estero e italiano.

Implicazioni per cittadini UE e di paesi terzi

Mentre la direttiva si concentra principalmente sui cittadini dell’UE, le sue disposizioni si estendono anche ai professionisti provenienti da paesi terzi, a condizione che le loro qualifiche siano riconosciute secondo i principi stabiliti dall’UE. Questo apre opportunità significative per la mobilità professionale globale, consentendo a professionisti qualificati di contribuire alle economie e alle società europee.

In sintesi, la Direttiva 2005/36/CE e il decreto legislativo n. 206/2007 costituiscono una base fondamentale per il riconoscimento delle qualifiche professionali all’interno dell’Unione Europea, facilitando la mobilità dei lavoratori e promuovendo un mercato del lavoro più integrato e flessibile. Queste normative rafforzano il principio della libera circolazione dei professionisti, essenziale per la crescita e l’innovazione all’interno dell’UE.

Condizioni per il riconoscimento della qualifica professionale

Ai sensi e per gli effetti rientranti nell’ambito di applicazione previsto al comma 1 dall’articolo 18 del d.lgs. 206/2007 citato, per l’accesso o l’esercizio di una professione regolamentata, quale quella ad esempio di medico, architetto, infermiere, e tutte le altre professioni non rientranti nei capi III e IV del presente titolo, “sono ammesse al riconoscimento professionale le qualifiche professionali prescritte da un altro Stato membro per accedere alla corrispondente professione ed esercitarla”. Gli attestati di competenza professionale o i titoli di formazione ammessi al riconoscimento dovranno soddisfare la seguente condizione, ovvero, devono essere rilasciati da un’autorità competente in un altro Stato membro, designata ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di quello Stato.

Inoltre, il comma 2 dell’art. 21 del d.lgs. 206/2007 prevede che “l’accesso e l’esercizio della professione regolamentata sono consentiti anche ai professionisti che abbiano esercitato a tempo pieno la propria attività per un anno o, se a tempo parziale, per una durata complessiva equivalente, nel corso dei precedenti dieci, in un altro Stato membro che non la regolamenti e abbiano uno o più attestati di competenza o uno o più titoli di formazione” che attestino il rilascio da parte di un’autorità competente in un altro Stato membro a conferma della preparazione per l’esercizio della professione.

Oltretutto, non è necessario l’anno di esperienza professionale qualora i titoli di formazione posseduti dal richiedente sanciscano una formazione e un’istruzione regolamentata.

Formazione presso uno Stato estero al di fuori dell’Unione europea per professioni a struttura particolare e per titoli assimilati

I cittadini europei in possesso di una qualifica conseguita in uno Stato extra-UE che abbiano ottenuto il riconoscimento della qualifica da parte dell’autorità amministrativa italiana competente, – ad esempio nel settore sanitario -, dovranno, secondo la normativa vigente per il comparto delle professioni sanitarie, iscriversi al relativo albo professionale, laddove previsto, entro due anni dalla data di rilascio del decreto di riconoscimento della qualifica professionale abilitante all’esercizio della professione. Trascorso tale termine, il decreto di riconoscimento perderà efficacia.

Relativamente alle professioni non organizzate in ordini o in collegi, il decreto di riconoscimento perderà efficacia, qualora il professionista non lo abbia utilizzato a fini dell’esercizio della professione, per un periodo di due anni dalla data del rilascio.

Per le professioni definite “a struttura particolare” che comprendono quelle rientranti nell’ex Allegato II della direttiva 2005/36/CE, abrogato dalla nuova direttiva 2013/55/UE, i cittadini europei che intendano esercitare la propria professione in Italia, dovranno risultare in possesso di una certificazione dello Stato UE di origine o di provenienza che attesti l’equivalenza del percorso formativo e dell’esperienza conseguita con il livello di qualifica previsto dalla normativa vigente[1], in linea con una formazione a livello di insegnamento post-secondario della durata di almeno un anno o di una durata equivalente a tempo parziale.

Gli interessati, potranno inoltre, presentare istanza di riconoscimento anche per i titoli assimilati, dove per titolo assimilato si intende ciascun titolo di formazione o insieme di titoli rilasciati da un’Autorità competente nello Stato di provenienza che attesti la conclusione di un percorso di formazione acquisito in uno Stato dell’Unione europea nell’ambito o al di fuori di programmi istituzionali, che è riconosciuta dal suddetto Stato come di livello equivalente e che conferisca al titolare gli stessi diritti di accesso o di esercizio alla professione per la quale si richiede il riconoscimento in Italia.

L’attività dei Ministeri

In Italia, il processo di riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite all’estero coinvolge vari ministeri, a seconda della specifica professione per la quale si richiede il riconoscimento. Questi enti hanno il compito di valutare le domande di riconoscimento in conformità con la direttiva 2005/36/CE dell’Unione Europea e le normative nazionali. Di seguito, una panoramica delle attività svolte dai ministeri coinvolti in questo processo.

I ministeri coinvolti nel processo di riconoscimento delle qualifiche professionali svolgono diverse attività chiave, tra cui:

  • Ricezione e Valutazione delle Domande: Accolgono le domande di riconoscimento e valutano la conformità delle qualifiche estere con gli standard e i requisiti professionali italiani.
  • Guida e Supporto ai Richiedenti: Forniscono informazioni e assistenza ai richiedenti sulle procedure da seguire, sui documenti necessari e sui criteri di valutazione.
  • Procedimenti di Verifica e Valutazione: Conducono verifiche approfondite delle qualifiche presentate, che possono includere analisi documentali, colloqui, esami o periodi di tirocinio.
  • Emissione di Decisioni: Emettono decisioni ufficiali sul riconoscimento delle qualifiche, che possono risultare in un riconoscimento pieno, condizionato (con requisiti aggiuntivi come la formazione o esami supplementari) o il rifiuto della domanda.
  • Coordinamento con Enti Professionali: Collaborano con ordini e collegi professionali per assicurare che i professionisti riconosciuti siano adeguatamente integrati nel sistema professionale italiano.

Il processo di riconoscimento delle qualifiche professionali in Italia è quindi un’attività complessa che richiede la collaborazione tra vari ministeri e enti, al fine di garantire che i professionisti qualificati all’estero possano esercitare la loro professione in Italia nel rispetto degli standard e dei requisiti nazionali.

[1] L’art. 11, lettera c, punto i della direttiva 2005/36/CE, a tale riguardo recita: “un diploma che attesta il compimento di i) o una formazione a livello di insegnamento post-secondario diverso da quello di cui alle lettere d) ed e) di almeno un anno o di una durata equivalente a tempo parziale, di cui una delle condizioni di accesso è, di norma, il completamento del ciclo di studi secondari richiesto per accedere all’insegnamento universitario o superiore ovvero il completamento di una formazione scolastica equivalente al secondo ciclo di studi secondari, nonché la formazione professionale eventualmente richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari”.

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